"Le gioie del marinaio sono semplici come quelle dei bambini."
Si apre così "Lupi di mare", una rubrica in cui andremo a presentarvi uno ad uno personaggi che hanno fatto la storia della vela.
Si apre così, con una citazione che parla da sé, la quale trasuda tutta la passione irrazionale e la semplicità che un mondo così particolare come la vela può offrire.
Cosa serve veramente per essere felici?
Per chi va per mare, soprattutto per bisogno interiore, la risposta sarà questa: poco e niente.
Dai un po' di vento a un marinaio e vedrai che lui sorriderà.
Il primo protagonista di "Lupi di mare" è Bernard Moitessier, un vagabondo che fra le onde e il vento ha trovato il suo posto nel mondo.
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Hanoi, 10 aprile 1925.
Nell'allora Indocina francese, oggi Vietnam, nacque da padre commerciante e madre artista francesi il giovane Bernard, futuro fratello maggiore di altri tre maschietti (Jacky, Françou e dell'ultimo genito Gilbert) e di una femminuccia (Babette).
La sua infanzia scorre fra la città di Saigon e un piccolo villaggio di pescatori nel Golfo del Siam, dove la famiglia Moitessier passava le estati.
Bernard è figlio della cultura vietnamita, cresciuto tra gli autoctoni, girovagando a piedi scalzi per la natura selvaggia e le risaie e accompagnato dalla sua fedele fionda, con la quale cacciava piccoli animaletti.
Di tanto in tanto si intrufolava, quando poteva, fra le piroghe dei pescatori.
È proprio tra quelle capanne, alle sponde dell'Oceano Indiano, che nasce la sua sconfinata passione per la navigazione.
Sin da piccolo viaggia con le mente fra le onde dei mari tropicali, sognando un giorno di partire con Xai, un suo amico di infanzia, con cui inizierà a navigare qualche anno dopo sulle piroghe.
Sempre al villaggio conosce il suo mentore, il suo "pigmalione" come lo descrive lui, un vecchio pescatore che gli insegna a navigare senza strumenti di bordo, perché "con le stelle o la direzione del vento e delle onde vedi sempre dove vai, e le tue orecchie restano aperte ad ascoltare ciò che ti dice il mare".
Divenuto ragazzo si diploma alla scuola agraria e ha già un futuro scritto nell'azienda di famiglia.
Futuro che però sta stretto, strettissimo, al giovane Moitessier, cresciuto ammirando la bellezza che la natura potesse offrirgli e leggendo classici del mare firmati da grandi navigatori, quali Alain Gerbault, Eric De Bisschop e Henry de Monfreid.
Nel 1947 decide di lasciare quindi l'azienda paterna e di aprire insieme al suo amico Xai un negozio per prodotti da pesca.
La sua gioventù non fu però tutta rose e fiori.
Infatti, per chi non lo sapesse, la fine del secondo conflitto mondiale significa l'inizio dell'inferno in Indocina: da un lato l'esercito coloniale francese, dall'altro i Viet Minh.
Considerati questi ultimi come minaccia, i fratelli Moitessier entrarono volontariamente a far parte di una milizia francese, la quale Bernard abbandona poco dopo per entrare in Marina come interprete.
La crudeltà di questo conflitto non guarda in faccia a nessuno, tanto meno la famiglia Moitessier, che è obbligata a dire addio a Françou il quale, soffocato dalla pressione dovuta dalla guerra, si suicida dopo un'esecuzione fatta nel loro villaggio di piroghe e giunche.
L'altro fratello adolescente, Jacky, si salva dalla guerra ma non rimarrà in Vietnam, deciderà di prendere la sua strada e andrà in Guyana.
Dopo il conflitto mondiale Bernard torna per poco tempo nell'azienda di famiglia, per poi mettersi in proprio e aprire una ditta di trasporto a vela, iniziando a commerciare a bordo di una piccola giunca e assecondando così la sua giovane voglia di salsedine e vento.
È solo l'inizio del suo eterno viaggio in solitario sulle onde del mare.
L'attività in proprio proseguì solo 6 mesi, fin quando non venne chiusa dalla polizia francese con l'accusa del trasporto d'armi per i Viet Minh.
Da lì tornò poi a lavorare per il padre, risparmiò i soldi necessari per andare in Francia e ritornò nuovamente nella ditta di famiglia, fino al 1951.
Fu un anno fondamentale per Bernard, perché grazie ad un suo amico conobbe la sua prima imbarcazione: lo Snark, un vecchio ketch di 12 metri.
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È amore a prima vista tra il navigatore francese e la barca, nonostante essa presentasse i segni della noncuranza del suo precedente armatore.
Presenza fondamentale fu quella di Pierre Deshumeurs, che innamorato anch'esso dello Snark decise di investire i propri soldi per aiutare a rimetterlo in sesto.
Le condizioni però erano quelle che erano e Bernard non volle aspettare che la barca fosse perfetta per partire.
Insieme a Pierre, il filosofo dei mari decide di levare gli ormeggi da Saigon e affrontare il golfo del Siam, raggiungendo isolotti dispersi per poi dirigersi verso Singapore.
Lo Snark, in realtà, ebbe vita breve e affondò poco dopo giunti nuovamente a Saigon.
I lavori svolti non erano bastati per salvare la vita al vecchio ketch.
Bernard non attese troppo, vendette tutte le sue quote della ditta di famiglia e conobbe, a Kampot, in Cambogia, un'altra sua barca leggendaria su cui investì i risparmi: il Marie Therèse, un ketch di 9.25 m, battezzato così in onore del suo primo amore giovanile.
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Singapore, 1952.
Bernard inizia a respirare e a vivere quella libertà che tanto bramava e che tanto terrà a cuore per il resto della sua vita.
Lui da solo, in mezzo al mare, con la sola voce del vento a fargli compagnia.
È proprio in questo periodo, coi pensieri della guerra ancora impressi nella mente, che iniziò la sua critica alla civiltà e ai suoi costumi, inutilmente violenti e privi di sentimenti.
Il viaggio con il Marie Therèse fu tutto tranne che semplice, ma a Bernard non importò più di tanto, perché finalmente era dove desiderava stare.
Un mese e mezzo di bolina, affrontando in solitario il monsone dell'Oceano Indiano, un vento periodico tipico delle zone.
La barca ne uscì un po' malmessa, con la perdita di una vela, però riuscì comunque a risalire il vento, raggiungendo il tanto agognato aliseo che lo attendeva al di là del monsone e che lo portò con la prua diretta alle Seychelles.
Inizialmente la meta era il Madagascar, ma uscito dalla bolina decise di andare un po' più a nord per andare a trovare una vecchia conoscenza e fare un po' di risparmi.
Sbagliando si impara e Bernard in quella occasione lo capì.
Munito di sestante e con cronometro rotto il giovane Bernard non riuscì a tracciare correttamente la propria posizione, andando così a incagliarsi al largo dell'isola di Diego Garcia, nell'arcipelago delle isole Chagos.
Naufrago, decise di ripartire dalle Mauritius, lavorando per 3 anni, prima come pescatore subacqueo e poi come segretario nel consolato francese.
Neanche a dirlo, i risparmi andarono alla costruzione di una nuova barca, un altro, ennesimo, ketch lungo 8.36 m: il Marie Therèse II.
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Una costruzione durata 9 mesi, partendo da zero, senza conoscenze pratiche, ma col solito spirito di mettersi in gioco aiutato dal sostegno degli autoctoni.
Il 2 novembre 1955 salpò nuovamente, destinazione Durban, poi Città del Capo.
La prima venne raggiunta dopo 25 giorni e una tosta navigazione.
Qua si ferma un anno, causa risparmi, improvvisandosi carpentiere navale.
Inoltre conobbe Henry Wakelam, suo vicino di banchina e altro vagabondo dei mari, che lo aiutò nel suo soggiorno in Sud Africa.
A febbraio i due partirono per Città del Capo, dove Bernard lavorò per un po' come meccanico in una fabbrica di maiolica, così da poter mettersi in tasca qualche soldo.
Nella capitale legislativa sudafricana il Marie Therèse II ebbe delle migliorie, come il timone a vento e una campana da sub, utile per pulire lo scafo della barca in mare.
Il 21 novembre del 1957 Moitessier e Wakelam salparono, non con pochi dispiaceri (nel mentre avevano incontrato due ragazze), per l'Atlantico e con la prua rivolta verso Sant'Elena.
A vincere "la gara" fu l'amico, a bordo del suo Wanda.
Qui rimasero giusto il tempo di rimettere a posto il fasciame di Marie Therèse II, per poi ripartire facendo sosta all'isola di Ascensione, all'arcipelago Fernando de Noronha e a Trinidad, dove si dà appuntamento con Joyce, la ragazza conosciuta in Sud Africa.
Nell'attesa che la ragazza raggiungesse l'isola su una nave, Bernard decide di andare in Martinica, poco più a nord, sapendo della presenza di uno scivolo d'alaggio, in modo da fare delle lavorazioni alla barca.
Il viaggio di ritorno è però tragico.
In piena notte Marie Therèse II urta degli scogli, dicendo addio al soffio del vento e abbracciando il letto degli abissi, lasciando naufrago, di nuovo, un distrutto e giovane Moitessier.
Umiliato, si lascia alle spalle Joyce e decide di imbarcarsi come personale di fatica su una petroliera che lo portò, dopo alcuni viaggi, in Francia.
Qua ricomincia la storia già vista e vissuta: trovare un lavoro, risparmiare qualche soldo e costruirsi una nuova barca.
Agli inizi del 1958 arriva finalmente a Parigi, desolato da quella freddezza urbana a cui non era abituato, ma in cui riesce a trovare un lavoro e soprattutto iniziare a scrivere.
In quel soggiorno parigino ebbe i natali "Un vagabondo dei Mari del Sud", uno dei libri di mare per antonomasia, pietra miliare per tutti coloro che amano la lettura scolpita nel sale e nel vento.
Nel mentre rincontrò Françoise de Cazalet, amica d'infanzia e sua futura sposa, grazie alla quale non navigherà più, per un po', in solitaria.
Il 1960 è un anno importante per Bernard, sia per via del matrimonio, sia per la pubblicazione del suo primo libro.
Inutile dire che fu un successo.
Questo lo portò a incontrare Jean Knocker e Jean Fricaud, rispettivamente un architetto navale e un imprenditore, amanti del libro, grazie ai quali progettò e costruì, a prezzo di fabbrica, la sua barca più famosa, il Joshua, chiamato così in onore del grande navigatore americano Joshua Slocum, primo navigatore ad aver fatto il giro del mondo in solitario e dei cui libri Bernard era patito.
In realtà il nome originario sarebbe dovuto essere Marie Therèse III, ma Françoise e la scaramanzia non erano molto d'accordo.
Ketch in acciaio di 12.08 m, più altri 2 m se si conta il bompresso, che non prese però subito l'Oceano.
Nel '62/'63 infatti Moitessier rincontra Henry Wakelam, che nel mentre si era anche lui sposato, e insieme a lui organizza una scuola vela, che li vide impegnati tra Marsiglia e la Corsica.
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12 ottobre 1963, Marsiglia.
Bernard e Françoise partono per la loro storica luna di miele.
A capodanno passano Gibilterra.
4 mesi a Casablanca.
Da giugno a ottobre all'isole Canarie, qua vengono raggiunti dai bambini di lei e, oltre alla presenza anche dei coniugi Wakelam, Bernard rincontra anche Pierre Deshumeurs, anch'esso con la moglie.
Da dicembre a febbraio in Martinica.
Passaggio del canale di Panama.
Da marzo al 1 giugno alle Galapagos.
Da fine giugno ad agosto alle isole Marchesi.
Per chiudere Papeete, a Tahiti.
Il viaggio di ritorno però non sarà uguale all'andata: da Tahiti continueranno a scendere, direzione sud-est, secondo quella che Bernard descrisse come "la rotta logica", dovuta a questione di tempo e di venti.
Obiettivo? Capo Horn.
Per tutti quei pagani che non sanno cosa sia, Capo Horn è il punto più meridionale del Sud America e sta alla vela come il monte Everest sta all'alpinismo.
Doppiarlo è un'autentica impresa e l'11 gennaio del 1966 toccò al Joshua compierla.
Questo evento fu particolarmente importante per la storia della vela perché vide Françoise divenire la prima donna della storia a doppiare il capo dei capi e la coppia probabilmente fu la prima a fare mezzo giro del mondo senza scalo su una barca a vela.
Una volta fatto l'impresa il Joshua mise la prua verso nord-est e raggiunse Alicante il 29 marzo di quello stesso anno.
Il rapporto tra Bernard e il Joshua non è quello di un mero rapporto oggettivo, di semplice possedimento di un bene, ma di un rapporto quasi viscerale, di amore e rispetto.
Bernard e il Joshua parlavano tra di sé, si confidavano e proprio lei, durante il viaggio di ritorno, pronunciò al navigatore francese una delle frasi più belle dell'intera storia della vela:
"Sono una buona barca, ma non sbagliare la strada, dammi vento e ti darò miglia, migliaia di miglia."
Nell'estate di quell'anno, nei pressi di Tolone, Bernard Moitessier inizia a scrivere "Capo Horn alla vela. 14000 miglia senza scalo", in cui racconta proprio della luna di miele passata con Françoise.
Il libro vede la luce il gennaio successivo, dopo la pressione degli editori, divenendo subito un'altra pietra miliare dei racconti di mare.
Una pressione che non piacque a Bernard e che portò ad avere dei dubbi interiori riguardo al suo ultimo romanzo.
Dubbi che in realtà erano solo la punta di un iceberg che si portava dietro dall'arrivo ad Alicante: Moitessier è in depressione.
Sempre ad Alicante però avvenne un evento molto importante per il futuro di Bernard, ovvero l'incontro con un altro mostro sacro della vela, quale Francis Chichester, ancora privo del suo famoso titolo "Sir".
L'inglese chiese a Moitessier tutto quello che sapeva sui mari meridionali e a fine estate di quell'anno partì per il suo leggendario giro del mondo in solitario, doppiando tutti i grandi capi (Horn, Buona Speranza e Leeuwin) e fermandosi una sola volta a Sydney.
Il ritorno batté anche il record di viaggio più lungo in solitario senza sosta dei coniugi Moitessier, raggiunto pochi mesi prima.
Fu proprio la grande impresa di Chichester che permise a Bernard di rialzare la testa, iniziando a sognare la sua "lunga rotta": il giro del mondo, in solitario, doppiando tutti i maggiori capi e soprattutto senza scalo.
Ironia della sorte, agli inizi della preparazione del Joshua, si presenta dinanzi a Moitessier un giornalista inglese del The Sunday Times, il quale gli presenta l'idea del proprio quotidiano, intenzionato a organizzare una regata in solitario sulla stessa rotta di Sir Francis Chichester e soprattutto senza scalo.
Chi arrivava per primo avrebbe vinto un mappamondo d'oro, dal quale il nome della regata Golden Globe Race, mentre per chi ci impiegava meno tempo 5000 £, una cifra notevole per l'epoca.
Le regole sono semplici:
Partenza da un porto inglese;
Partenza tra 1 giugno e 31 ottobre del '68;
Essere l'unica persona a bordo;
Nessuna assistenza esterna;
Nessuno scalo;
Arrivare allo stesso porto di partenza;
Qualcuno di voi potrebbe pensare che è stata una fortuna, un regalo del destino.
In realtà questa proposta fa letteralmente infuriare Bernard.
L'idea che un'esperienza così sentimentale e profonda venisse trasformata in una fredda competizione per la vittoria di "qualche" sterlina non gli va proprio più.
Nonostante la contrarietà alla regata, Moitessier decise comunque di partecipare nella più totale indifferenza dei premi in palio.
Pure il dono del The Sunday Times di imbarcare una radio trasmittente viene rifiutato, perché considerata troppo pesante.
Per comunicare userà una fionda e dei bussolotti, che lancerà sui mercantili che incontrerà durante il viaggio.
Oltre a Bernard, alla Golden Globe partecipano:
Robin Knox-Johnston;
Nigel Tetley;
Bill King;
Loic Fougeron, vecchio amico di Bernard;
Alex Carozzo, l'unico italiano;
John Ridgway;
Chat Blyth;
Donald Crowhust;
22 agosto 1968, Plymouth.
Bernard, affiancato a Fougeron, prende il largo.
Françoise, in cuor suo, sa già come andrà a finire.
"Non si chiede a un gabbiano addomesticato perché di tanto in tanto provi il bisogno di sparire verso il mare aperto. Ci va e basta, è un fatto semplice come un raggio di sole, normale come l'azzurro del cielo."
Così si vede Moitessier, alla partenza della Golden Globe Race, dopo aver atteso e voluto quel tanto agognato ritorno fra le onde.
Solo lui e il suo "Uccello dei capi", così amava chiamare il Joshua.
Nient'altro al mondo.
La regata va a gonfie vele, il Joshua vola ad ali spiegate e i due sembrano essere un tutt'uno col mare.
Dopo pochi mesi, in gara rimangono solo loro, Robin Knox-Johnston, Nigel Tetley e Donald Crowhust.
L'amico Loic si ritira nei pressi dell'isola di Sant'Elena, causa avaria.
La regata prosegue con alti e bassi e, nonostante uno scontro con un mercantile, Bernard non potrebbe essere più felice di così.
E proprio quella felicità lo devasta nell'animo.
Questa regata per Moitessier non fu una gara, fu una riscoperta, un entrare dentro se stessi alla ricerca di una verità che purtroppo aveva perso.
Aveva bisogno di riaccendere quella fiamma assettata di libertà... e ci riuscì, nei primi giorni di febbraio del 1969.
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"Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica."
Famosa frase di Friedrich Nietzsche, che poche volte come in questa occasione si può applicare perfettamente.
A terra non capivano il motivo, la reputavano una follia senza senso, dando nuovamente ragione a quell'idea che Bernard aveva del genere umano secondo la quale ci siamo involuti, dimenticando le nostre origini e le emozioni che la natura può darci:
Moitessier si ritira e, in prossimità dell'Africa, decide di porre la prua verso Capo di Buona Speranza, lasciando attonito tutto il mondo che ne stava seguendo le gesta.
Per alcuni un gesto eroico, per altri da codardo.
Moitessier semplicemente era tornato a sentire la sua musica e non voleva più smettere di ballare.
C'è chi dice che fosse in vantaggio, c'è chi pensa lo fosse Knox-Johnston.
La regata prosegue e l'unico a tagliare il traguardo è proprio l'inglese.
Nigel Tetley naufragò nell'Atlantico e Donald Crowhust, dopo aver continuamente mentito sulla rotta che stava percorrendo, decise di suicidarsi, a causa delle enormi pressioni degli sponsor, della stampa e dei debiti, avuti col fiato sul collo sin dalla sua partenza.
"Continuo senza scalo verso le isole del Pacifico perché sono felice in mare e forse anche per la salvarmi l'anima."
A Città del Capo, lanciando un bussolotto, spedisce fra lettere, materiale fotografico e quant'altro, pure questa frase, indirizzata al The Sunday Times, la quale fece il giro del mondo.
Solo lui e il Joshua, questa volta davvero.
Libero nella redenzione più assoluta, in quel mondo così immenso dove esisteva solo lui e la sua barca.
Quella regata tanto disprezzata ha adesso un nuovo volto, nel quale conta solo la purezza del compiere questa impresa.
Françoise, devastata dalla notizia, alla fine comprese la scelta di Bernard e in parte ne fu felice, perché aveva avuto il coraggio di andare contro il destino per poter inseguire quella libertà che lei stessa aveva assaporato qualche anno prima.
La rincontrerà solo qualche settimana prima di morire.
Bernard descrive il rientro a Plymouth come un tradimento, un abbandono, un vendersi l'anima alle regole fredde e apatiche di quella gara figlia di una cultura in cui non si rivedeva.
Il diario di bordo di quella avventura divenne poi, nel 1971, "La lunga rotta. Solo tra mari e cieli", un'ode alla letteratura di mare, un libro che va oltre al racconto della navigazione e imbraccia la filosofia e la voglia di vivere scandita dai battiti delle onde sullo scafo e dei soffi di vento fra le manovre.
Molti velisti sono nati grazie a quelle righe scritte e molti altri hanno alimentato la loro fiamma interiore, ergendo questo libro quasi ad un testo di formazione o addirittura sacro.
21 giugno 1969.
Dopo un giro e mezzo del mondo, ben 303 giorni di navigazione e una folle idea di ritentare il passaggio di Capo Horn, uno stremato Bernard Moitessier cala l'ancora al largo di Papeete.
Ad attenderlo a sorpresa c'è Pierre Deshumeurs, vecchio amico dello Snark, quasi come a chiudere un ciclo tra il suo passato e il suo presente, e Ileana, l'unica compagna da cui avrà un figlio, Stephan.
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Quella fu l'ultima, storica, folle, avventura del navigatore solitario Bernard Moitessier.
Da lì in po si limitò a navigare solo nel Pacifico, tra le isole sud asiatiche e il continente americano, oltre che a scendere in campo per le cause ambientali.
8 dicembre 1982, Cabo San Lucas, golfo del Messico.
Un uragano improvviso spazza via una decina di barche in rada.
Tra queste c'è il Joshua.
Dopo averla salvata, Moitessier decide di donarla a due ragazzi che lo avevano aiutato a disinsabbiarla.
Era il 1983 e grazie alle sue conoscenze gli fu progettato e regalato un cutter in acciaio di 9.5 m.
Il nome è Tamata, parola polinesiana che significa "tentare".
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Vorremmo dirvi che la sua storia termina come nelle più belle favole, dove il protagonista si addormenta a bordo della sua amata e continua a navigare su quella libertà che aveva sempre cercato.
Forse, in un certo senso, oggi è davvero così, con lo spirito di Bernard che continua imperterrito in un eterno giro del mondo a inseguire pesci volanti e albatros.
Nel 1989 gli fu diagnosticato un tumore alla prostata, chiamato da lui "la bestia", che lo portò inesorabilmente a lasciare il mare e a trasferirsi in Francia per curarsi, in compagnia di Véronique, sua ultima compagna.
Nei suoi ultimi anni di vita completa quella che è la sua autobiografia: Tamata e l'Alleanza.
Con quest'ultima intendeva la sua alleanza filosofica, con il mare e la natura, con se stesso e col suo modo di vivere.
Fu l'ultimo libro che vide pubblicare, ma non l'ultimo in assoluto che scrisse.
Nel 1995 uscì un'opera postuma intitolata "Vela, Mari lontani, isole e lagune", un manuale in cui raggruppa tutte le abilità e le capacità di navigazione che ha acquisito nel corso della sua vita.
Settembre 1990, La Rochelle.
Nel porto fece capolino un ketch di color rosso fiammante, acquistato poco tempo prima dal Museo Navale cittadino: è il Joshua e al timone non poteva che esserci il suo Bernard.
Fu l'ultima volta che il francese dormì coccolato dal suo "Uccello dei capi".
La loro lunga storia d'amore non poteva finire dopo un uragano.
Da allora il Joshua è stato rimesso a nuovo e dal 1993 viene impiegata come nave scuola, oltre ad essere riconosciuto come monumento storico.
Nel febbraio del 1994 Bernard torna in Vietnam, sia a Saigon che al suo piccolo villaggio di pescatori.
Seppur per poco, il piccolo ragazzo scalzo con la fionda è tornato a casa.
Bernard Moitessier intraprese il suo ultimo ed eterno viaggio il 16 giugno 1994, a Vanves, nel nord della Francia.
La sua lapide, in pieno stile polinesiano, risiede a Le Bono, piccola cittadina nel golfo di Morbihan, in Bretagna.
Al funerale ci furono tutti i suoi più grandi amori: Françoise, Ileana, Véronique, pure Marie Therèse. Ma soprattutto, poco più al largo, il Joshua, venuto a dare l'ultimo saluto al suo eterno compagno.
Un vagabondo dei Mari del Sud.
Il vagabondo dei Mari del mondo.
Un bambino a piedi scalzi che con la sua fionda è riuscito a cacciare code di vento e creste spumeggianti di sale, trovando in esse il suo essere nel mondo, salvando la propria anima dal caos tossico della società moderna.
Una vita vissuta senza limiti, se non quello della libertà assoluta candita dal cullare delle onde che hanno spinto Bernard Moitessier ad entrare di diritto nell'Olimpo della vela e, secondo alcuni, divenendo il più grande velista di tutti i tempi.
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Per questo articolo ringraziamo bernardmoitessier.com, rumoredimare.it, globalsolochallenge.com, nauticareport.it, medium.com, profumodimare.forumfree.it e it.frwiki.wiki.
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